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viadotto periferia est di Shanghai

Mentre le città nel mondo crescono un po’ come organismi autonomi, la Cina nel 2015 razionalmente a tavolino pianifica la costruzione della più grande megalopoli del pianeta “Jing-Jin-Ji”, dall’unione di Beijing, Tianjin, e la regione dell’Hebei a sud-ovest di Pechino, chiamata Ji con termine colloquiale dai cinesi.

Si parla di un area grande poco meno di 1/3 dell’Italia (100mila kmq) in cui dovrebbe addensarsi una popolazione stimata di circa 120/130 milioni di abitanti.

Il governo ha subito ribattezzato “Big-Bei” questa gigantesca conurbazione che appare così lontana dall’idea di città che caratterizza la nostra cultura, ma trova più di una spiegazione nell’evoluzione della cultura e del sistema di potere cinesi.

La città come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi ha la dimensione dell’individuo; per quanto grandi possano essere Tokio, Los Angeles, Città del Messico o New Delhi, ognuna di esse nasce in qualche modo come propagazione da un epicentro, assumendo poi le forme più svariate. Ma tutto si può ricondurre ad una dinamica di rapporti sociali e produttivi: centri storici, quartieri residenziali, aree commerciali e produttive, diffusione dei servizi.

La cartina che riportiamo sommariamente mostra come la nuova conurbazione cinese si allunghi per una distanza che supera i 1500km, dalle calme acque del golfo di Tianjin a Zangjiakou, nella impervia regione della Mongolia interna.

La domanda nasce spontanea: ma si può davvero trasformare in città quello che ovunque nel mondo sarebbe una regione, se non addirittura uno stato nel suo complesso, per differenze climatiche, culturali e non fosse altro per distanze che sembrano impedire quella prossimità concettuale che è la cifra della città come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi?

Condividendo un’idea di certo non nuova, ma dalle solide fondamenta, ritengo che la città si regga sulle relazioni umane che in essa si sviluppano e da queste è a sua volta continuamente plasmata, fino a creare una relazione osmotica.

Per questa ragione nei millenni la città ha rappresentano il miraggio dell’evoluzione per milioni di esseri umani: le persone erano attratte dalla fitta trama di relazioni che costituiscono il tessuto sociale della città, sinonimo di possibilità, rivincita e sviluppo.

La sfida lanciata dalla Cina al mondo intero con questo faraonico progetto è sicuramente affascinante, ma sembra avere più a che vedere con una strategia di controllo sociale che non con la nascita di una città.

I Cinesi sono oltre un miliardo, sparsi su un territorio grande quanto due volte l’Europa e nemmeno un regime governativo come quello del Partito Comunista riesce ad imporre un controllo effettivo e centralizzato su un territorio che per le condizioni descritte risulta quasi ingovernabile.

Con i dovuti distinguo e tutte le eccezioni del caso, gli scricchiolamenti del sistema finanziario cinese, le pesanti repressioni per rimarcare l’autorità governativa sul Tibet, come nei confronti delle infinite minoranze e fazioni religiose, sono il simbolo di una crescente difficoltà da parte del sistema di governo del Partito Comunista a conservare intatta la propria autorità su un territorio in continua e fervente evoluzione.

 

cina

Ridurre la Cina a grandi conurbazioni, Pechino nel nord, Shangai al centro-orientale, e Shenzhen-guandong a Sud appare un modo per ridurre la complessità di una macchina che altrimenti rischia di rivelarsi ingovernabile.

Un potere che mostra i muscoli deve essere sempre visibile all’occhio, altrimenti perde la sua efficacia. Concentrare una nazione vasta come un continente in piccole regioni diventa così – probabilmente- l’unico modo per poter continuare nell’opera di pianificazione verticistica dello sviluppo urbano-sociale ed economico che ha guidato la Cina negli ultimi 60 anni.

Mancano ancora molti dettagli del progetto, per cui sarebbe ingiusto tagliare un giudizio netto su qualcosa di così “diverso” da quanto siamo stati abituati a vedere.

Il rischio che sembra celarsi dietro il concetto stesso di questo progetto è il riproporsi di quella dinamica centro-periferia che la storiografia e sociologia di scuola marxista –suggeriamo la lettura di E. Wallerstein su tutti- hanno posto alla base delle relazioni umane e che NextPolis fermamente contesta a partire dal concetto stesso.

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veduta di Shanghai verso il bund

Ora, potrebbe darsi che una conurbazione della dimensione della futura Big-Bej abbia risorse, capacità e strutture tali da innescare una forza centripeta generatrice di forti legami con l’enorme territorio (periferia) circostante, legandolo indissolubilmente alla propria esistenza. Ma è altrettanto possibile, ancor più se le ragioni del progetto sono quelle menzionate, che la dinamica “dentro Big-Bej – fuori Big-Bej” assuma il significato di sviluppo di ciò che è dentro e abbandono di ciò che è fuori.

Per converso Big-Bej avrà quasi certamente il vantaggio di potersi costruire sulla base di “aree vocazionali”, superando il limite della città-marmellata (jam city) che è la cifra della grande conurbazione che ormai contraddistingue il NordEst dell’Italia.

Una chiara identità dei luoghi è alla base di uno sviluppo basato sulle relazioni; le persone, i cittadini devono poter riconoscere al quartiere, alla zona una “vocazione”. In una realtà come il NordEst italiano questo manca: nello stesso palazzo si possono trovare l’ufficio pubblico, la residenza privata e strutture commerciali.

Questa non è “contaminazione” positiva, interscambio relazionale, ma semplicemente promiscuità –per usare una terminologia forte. Big-Bej tutto questo potrà – forse- evitarlo e rigenerare al suo interno un sistema di relazioni basato su una chiara identificazione dei luoghi con specifiche vocazioni. La cultura cinese in questo senso dovrebbe aiutare non poco: dall’isolamento della Città Proibita alla conservazione in formato confezione regalo dei quartieri tradizionali (vedi Shanghai) la Cina conserva molto marcata la percezione che ad un luogo corrisponde una o più funzioni.

Rimane l’incognita della dimensione faraonica. Una città grande quanto la Grecia non è facile da immaginare né tanto meno da concepire. Il rischio che tutto ciò che rimarrà fuori dai confini sarà dimenticato è alto, ma la ragion di stato del Partito di Governo in Cina è forte per garantire la propria continuità.

È indubbia la grandezza dell’esperimento sociale, unico nella storia e che solo un paese e una cultura come quella cinese potevano partorire.

 

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