#riflessioniinlibertà: la partecipazione politica nel web 2.0
Un mondo fatto di byte
potrà anche sfidare la legge di gravità,
ma assolutamente nulla impone
che debba sfidare anche le leggi della ragione.
Evgenji Morozov
Mail, archiviazione in cloud, Google, e-book, smartphone, social network. L’elenco potrebbe proseguire quasi interminabilmente: tecnologie comode, utili, talmente da sembrare quasi che non ne possiamo più fare a meno o da chiederci come facessimo a fare le stesse cose prima che fossero introdotte e diffuse massicciamente.
Quali sono le conseguenze delle tecnologie del web 2.0 sulla polis e soprattutto sulla partecipazione politica? Che la questione sia di stringente attualità è sotto gli occhi di qualsiasi osservatore delle dinamiche politiche più recenti. Quello che invece spesso le smart technologies hanno una natura bifronte.
Il problema è duplice, in base alla prospettiva da cui lo si osserva.
Per il cittadino, queste tecnologie offrono al cittadino-utente esattamente le sue preferenze riguardo a ogni attività piacevole possa desiderare: perché allora dovrebbe invece affannarsi a occuparsi della cosa pubblica, anche solo informandosi o partecipando attivamente, quando . A questa domanda non c’è una risposta tecnologica: se la tecnologia non basta, è solo la prospettiva umanista che sta alla base della scelta di usufruire di quel gadget che potrebbe fornire forme personalizzate di piacevole intrattenimento – capaci di rispondere esattamente ai propri gusti – per fruire invece di messaggi complessi come quelli culturali e politici.
Per il politico-amministratore, la tentazione è quella di piegare queste tecnologie all’autoconservazione della propria posizione, trasformandole in strumenti per acquisire o mantenere il consenso. Il nesso tra informazione e democrazia è così immediato e automatico come molti acritici entusiasti sostenitori dell’e-democracy credono, oppure bisognerebbe capire quanto tale tentazione di “autoconservarsi” del politico possa piegare le smart technologies a tecniche di eterodirezione del consenso che possono essere addirittura conflittuali con pratiche di e-democracy o, più genericamente, con l’uso politico del web 2.0?
Ne nascono domande sul ruolo dei nuovi influencer – che sfruttano la loro competenza nel social networking per orientare posizioni politiche su cui potrebbero anche non avere adeguato approfondimento; ma ne nascono – anche e soprattutto – riflessioni ben più profonde sul ruolo della rappresentatività stessa quale metodo di scelta degli amministratori della polis: per quale motivo l’opinione pubblica dovrebbe essere infatti interpellata “dopo” su una questione quando la consultazione c’è già stata “prima”, non sulla base di pratiche di e-democracy (con tutti i loro limiti) ma mediante un’elezione accompagnata da un programma e avvalorata da un suffragio universale?
Se la buona amministrazione è confronto e mediazione tra posizioni diverse, alla ricerca del bene comune, questo progetto si può realmente realizzare violentando politiche razionali entro i 140 caratteri di un tweet, costretti dalla velocità delle nuove tecnologie a rispondere con una rapidità fino a ieri inusuale?
I problemi che il web 2.0 porta alla polis, forse, superano i benefici.
Iscriviti alla Newsletter!