tax

Le imposte sono prelievi obbligatori in denaro, dovuti dal contribuente al di fuori di vincoli di diretta controprestazione da parte dello Stato. Sono la fonte principale delle risorse finanziarie degli Stati moderni, che ne destinano il gettito:

  1. al finanziamento della produzione dei beni e servizi collettivi (i cosiddetti “fini fiscali delle imposte”);
  2. allo svolgimento delle altre loro funzioni, come la redistribuzione del reddito, la stabilizzazione del ciclo economico o la correzione dei casi di fallimento del mercato (i cosiddetti “fini extrafiscali”).

Le imposte, oltre ai ollaterali effetti redistributivi, servono pertanto a finanziare le spese pubbliche: osservazione che potrebbe sembrare ovvia, almeno in apparenza. Meno scontato è invece come i relativi oneri debbano essere ripartiti sulla collettività. I moderni sistemi tributari guardano alle ricchezze dei privati, e si fondano sulle «capacità» dei privati di contribuire ai carichi pubblici. Occorre quindi riuscire a “misurare” socialmente i diritti proprietari dei singoli contribuenti, al fine di modulare l’imposizione secondo efficienza ed equità. Diverse sono le modalità previste dal nostro ordinamento per conseguire tale obiettivo: l’esenzione del «minimo vitale», la discriminazione qualitativa dei redditi «non guadagnati», la progressività dell’imposta, la selezione delle manifestazioni di capacità economica più idonee al prelievo – patrimoni, redditi, consumi, o altro ancora. Le menzionate opzioni sono accomunate da un unico filo conduttore: la misurazione e l’apprezzamento ai fini sociali dei redditi e dei patrimoni individuali, nella prospettiva della tassazione. A questi temi è strettamente connesso anche la finalità della «redistribuzione», dell’utilizzo dell’imposta in chiave compensatoria, quale fattore correttivo delle disuguaglianze: per alcuni funzione indefettibile e centrale dello strumento tributario, per altri semplice effetto combinato di prelievo fiscale e spesa pubblica, o al massimo contingente indirizzo di politica legislativa.

Per il politico-amministratore la tentazione potrebbe essere quella di utilizzare la tassazione per acquisire o mantenere il consenso, privilegiando alcune categorie di contribuenti a discapito di altre. Tale scelta è stata effettuata, per esempio, dal Governo Berlusconi che, mediante l’abolizione dell’Imposta Comunale sugli Immobili (“ICI”) introdotta nel 2008, scelse di garantire e tutelare la categoria dei proprietari di immobili, sottraendo gettito ai Comuni, in quanto l’imposta prevede la compartecipazione allo stesso da parte dello Stato centrale e dei Comuni presso cui risiedevano i contribuenti proprietari degli immobili.

Lo stesso dicasi relativamente sulla modifica all’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (“IRAP”) contenuta nella legge di Stabilità approvata a dicembre 2014, la quale ha riflessi sulla sostenibilità dei bilanci regionali, in particolare della spesa sanitaria, limitando l’autonomia delle Regioni, privandole di fatto della possibilità di usarla come strumento di politica industriale locale. Tale norma va a tutela delle imprese, ma ai danni delle regioni.

La buona amministrazione, che non può non essere buona politica fiscale, deve tenere conto della duplice funzione delle imposte e dei poteri che i vari livelli di governo – Comuni, Province, Regioni e Stato – hanno, cercando di bilanciare i poteri di tutti i soggetti coinvolti, senza che nessuno ne abusi a danno di altri o, a maggior ragione, a danno dei contribuenti.