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Possono le città del domani pensare ad un sistema scolastico che sia in rete con le altre “agenzie educative” presenti sul territorio in un unico sforzo congiunto a favore dell’educazione permanente e integrata delle giovani generazioni? Possono le città del domani impostare sin d’ora pratiche educative lungimiranti per interpretare al meglio la “rivoluzione digitale” nel campo della conoscenza e dell’apprendimento?

Sembrano concetti abusati o peggio scontati o, addirittura, acquisiti. In realtà si può fare di più e meglio secondo diversi campi d’intervento.

Innanzitutto c’è la questione pedagogica ed educativa.

Le intelligenze e i talenti della propria città non possono essere protagonisti solo a vantaggio delle scuole ma occorre che si verifichi una “restituzione” nei confronti della comunità cittadina in un’ottica di società educante. La società educante rappresenta l’obiettivo formativo imprescindibile per il futuro della comunità mondiale, lo scrivevano i quindici saggi della Commissione Internazionale UNESCO sull’Educazione per il Ventunesimo secolo presieduta da Jacques Delors: «la verità – asserivano – è che ogni aspetto della vita, a livello sia individuale che sociale, offre opportunità di apprendimento e di azione […] la scuola dovrebbe instillare sia il desiderio che il piacere dell’apprendimento, la capacità d’imparare a imparare, la curiosità intellettuale. Si potrebbe addirittura immaginare – chiosavano – una società in cui ciascun individuo sia alternativamente insegnante e discente» [nota 1]. Immaginare una società dove ci siano le occasioni giuste che permettano ai ragazzi di “salire in cattedra” significa pianificare la città del futuro a partire da una politica culturale, educativa e sociale che va oltre i limiti classici delle funzioni attribuite ai classici comparti della Pubblica Istruzione, dei Servizi Sociali o della Cultura. La comunità cittadina potrebbe “delegare” agli studenti di ogni ordine e grado determinati “compiti educativi” a vantaggio di tutti i cittadini offrendo loro spazi e strumenti idonei per il raggiungimento dell’obiettivo (scuole aperte di pomeriggio, biblioteche comunali, teatri o auditorium, laboratori urbani di creatività, parrocchie…) favorendo opportunità di collaborazioni fattive con le altre agenzie educative del territorio (scuole di musica, di arte drammatica, di danza, associazionismo di varia natura…).

Il secondo aspetto riguarda una nuova cultura dell’insegnamento intesa come pratica della ricerca e dell’educazione al giusto rapporto con le risorse del web. Non vi è dubbio che nelle scuole italiane vi sia un approccio deficitario verso questo aspetto e non vi è dubbio che il programma quadro europeo per la Ricerca e l’Innovazione (2014 – 2020) “Horizon 2020” pone delle sfide ardite al nostro sistema culturale. Attualmente il web è una risorsa potenzialmente illimitata per chi opera nel campo dell’educazione si tratti di un discente o di un docente. Tuttavia in un contesto attuale di “overload” del web occorre saper distinguere e affinare le proprie ricerche istruendo sin da subito gli studenti sulla possibilità di citare una qualsiasi fonte (bibliografica digitale, documentale web o altro) in modo corretto e puntuale evitando operazioni sommarie di “copia e incolla” che non inducono gli studenti stessi all’operazione di rielaborazione, operazione fondamentale per allenare la definizione di costrutti logici. Attualmente in assenza di un “insegnamento sulle risorse del web e del digitale” può accadere quanto descrive Manfred Spitzer nel suo libro Demenza digitale [nota 2] ossia che le nuove tecnologie non ci rendono stupidi bensì ci impediscono di diventare intelligenti. E ciò accade ovviamente quando si pratica un uso indolente del web, lontano dai siti istituzionali che offrono risorse culturali non di poco conto e purtroppo troppo vicino a siti generalisti i cui contenuti sono spesso privi di una paternità intellettuale riconosciuta.

Certo, interventi strutturali sui temi d’insegnamento nelle scuole non riguardano la politica locale. Nondimeno una società educante non tralascia gap culturali e gap di predisposizione alla ricerca così evidenti: ecco perché l’alleanza educativa “oltre la scuola” con le altre agenzie formative presenti sul territorio può favorire le comunità cittadine nel rendere a tutto tondo l’esperienza di crescita umana e culturale delle giovani generazioni.

La città del domani andrebbe quindi pianificata come società educante a partire da interventi pedagogici e istituzionali, unendo con il giusto equilibrio la creatività giovanile, l’alleanza relazionale con le altre agenzie formative del territorio e una rivisitazione dell’educazione al web e alle sue risorse: tutto ciò sembra davvero introdurre a quella pratica virtuosa dello scambio tra discenti e docenti tanto caro a Jacques Delors, una sorta di lascito educativo per le nuove generazioni.


[1] J. Delors, L’educazione: l’utopia necessaria, in Rapporto all’UNESCO della Commissione sull’Educazione per il XXI secolo Nell’educazione un tesoro, Armando editore, Roma 1997, p. 17
[2] M. Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano 2013.