Molto spesso si parla di sviluppo locale partendo da posizioni quasi dogmatiche, generalmente basate su istanze particolari legate alle contingenze del territorio che, molto spesso, non funzionano  o, peggio ancora, producono ulteriori danni. Le cause dei fallimenti sono le più disparate e, stando al tipico “paradigma italianotto medio”, la colpa è sempre di qualcun altro.

Per convinzione personale, ritengo sia sempiterna la legge per cui “l’80% dei problemi è derivato dal 20% delle cause”, generalmente riconducibili alla mancanza di volontà politica e di visione comune nell’azione (collettiva in teoria, estremamente casuale in pratica) oppure alla mancanza di conoscenza del territorio, in termini di risorse, opportunità e bisogni. Sarebbe opportuno scendere nel dettaglio della prima opzione individuata, specificando come la mancanza di volontà e di visione possa essere ben superata dalla partecipazione attiva della Comunità e dall’integrazione tra le funzioni istituzionali fondamentali per lo sviluppo.

Una premessa si rivela pertanto obbligatoria: la scelta del termine Comunità non è casuale ma riflette tutta la portata rivoluzionaria del suo significato, ovvero un gruppo di persone – intese nell’accezione cristiana del termine ossia come “arricchimento etico” dell’individuo – che condividono una comunione di fini e di valori. Partendo proprio da una critica alla spersonalizzazione delle politiche di sviluppo locale, si potrebbero raggiungere dei livelli di conoscenza del territorio e dei suoi abitanti tali da poter permettere un’adesione quasi millimetrica dei desiderata del decisore pubblico con i desiderata della comunità locale, superando da un lato l’endemico gap di conoscenze dell’amministrazione e dall’altro la banale motivazione di realizzare degli interventi al solo scopo di fare qualcosa o di non perdere determinate opportunità. Questo patrimonio conoscitivo non può che essere competenza dell’Ente Locale per eccellenza: il Comune.

Con la sua storia millenaria, il Comune rappresenta l’ente che meglio può intercettare i bisogni e meglio può dare delle risposte (soprattutto in forma aggregata o multilivello). Inoltre, le survey sullo stato della partecipazione politica realizzate dall’Unione Europea, evidenziano come, nonostante la crescente sfiducia nella politica, i cittadini europei siano molto interessati alle questioni del proprio Comune e che partecipano volentieri alla politica locale in quanto percepita come “utile ed in grado di fare qualcosa di concreto” per la propria vita quotidiana.

Per passare dalla logica del dover fare a quella del voler fare, occorre innescare un meccanismo virtuoso di auto-miglioramento dell’asset fondamentale di un territorio: le persone che ci abitano. Potremmo immaginare un contesto territoriale in cui lo sviluppo sia la risultate dell’azione/interazione tra 3 grandi fattori: 1) la conoscenza, ossia il bagaglio tecnico/culturale proprio di ciascuna persona; 2) le opportunità, ossia quello che offre il contesto produttivo locale; 3) la politica, intesa come scelta condivisa ed autonoma dei propri fini. A questi tre elementi, corrispondono 3 elementi apicali sul territorio che istituzionalizzano l’ambiente di riferimento: 1) la scuola e gli enti di formazione; 2) le rappresentanze di produttori e lavoratori; 3) gli enti locali.

Attraverso una codecisione delle politiche per lo sviluppo locale tra questi 3 elementi, sarebbe possibile creare delle politiche pubbliche in grado di essere accolte dalle persone come elemento endogeno del territorio e di riversare sullo stesso i loro effetti. Il miglioramento del tessuto economico e sociale non può prescindere dal dialogo tra mondo del lavoro e mondo della formazione e dalla loro incisività nel processo di decisione pubblica. La condivisione degli obiettivi porta, oltre al senso di appartenenza, una riduzione della conflittualità e delle resistenze al cambiamento in atto. Il Comune, in questo caso, diventa il naturale luogo di aggregazione e confronto per la sua intrinseca natura: è l’ente amministrativo e politico di prossimità per il cittadino.

Questa spirale di crescita, però, necessita di contesti adeguati per dimensioni e popolosità. Seguendo questa logica di aggregazione, sarà possibile anche razionalizzare il territorio e la frammentazione dei piccoli comuni attraverso la creazione di politiche pubbliche a misura d’uomo.

Ridisegnare le Città è possibile ma resterebbe un esercizio fine a se stesso se non si pensasse anche di ridisegnare la persona attraverso i suoi spazi di libertà, permettendone un costante processo di automiglioramento all’interno della Comunità locale in cui vive.