Il rapido aumento dell’immigrazione nel corso degli ultimi due decenni ha contribuito a rendere le Società urbane più plurali e alla conseguente trasformazione delle nostre città, dove convivono persone con idee, storie, necessità e modi di vivere differenti, che si traducono in diverse pratiche di uso ed appropriazione degli spazi.

Secondo i calcoli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite circa il 20% della popolazione mondiale è costituito da persone che hanno lasciato, per scelta o perché costrette, il territorio d’origine.

I fattori dei movimenti internazionali sono molteplici: in primo luogo la forte differenza nel reddito e nella qualità della vita costringe molti cittadini provenienti dalle aree più in difficoltà del mondo a trasferirsi in quelle dove è possibile vivere meglio.

Allo stesso tempo, la mondializzazione dei trasporti e della comunicazione ha ridotto le distanze, chilometriche e culturali, dunque ha favorito significativi fenomeni migratori. Grazie alla diffusione delle moderne tecnologie, è possibile conoscere la situazione economica di qualunque realtà, dunque fare paragoni e scegliere consapevolmente dove trasferirsi.

Per questi motivi il mondo sta vivendo un rapido processo di accelerazione nei movimenti della popolazione, favorito dal fatto che con la creazione di grandi unità territoriali transnazionali, ad esempio l’Unione Europea, i confini politici diventano sempre più permeabili, così come i vincoli burocratici che in passato rendevano complicati gli spostamenti.

La migrazione per lavoro è considerata dai Paesi in via di sviluppo un rimedio alla disoccupazione, mentre per gli Stati occidentali gli immigrati rappresentano una manodopera poco costosa, che si adatta ad occupazioni spiacevoli e senza tutela, rifiutate dai lavoratori locali.

L’intensificarsi dei flussi in arrivo, in diversi casi, continua a generare preoccupazioni, non solo sulle conseguenze economiche, ma anche sul pericolo di perdita dell’identità culturale del Paese ospitante e sulle difficoltà di regolare in maniera ordinata l’afflusso. Il numero di individui intenzionati ad emigrare è di gran lunga superiore a quello che i Paesi di immigrazione sono generalmente disposti ad accogliere: lo dimostrano più di ogni altra cosa le misure restrittive introdotte in materia, al fine di scoraggiare gli spostamenti. Ma il persistere di forti squilibri economici suggerisce che il processo non è affatto destinato ad esaurirsi in tempi brevi.

L’alto numero di cittadini stranieri in arrivo nelle nostre città, non sempre preparate ad accogliere flussi così intensi, ha anche modificato in modo inaspettato l’assetto urbano. In primo luogo, l’inserimento dei migranti in quartieri originariamente concepiti per usi diversi ha provocato fenomeni di ghettizzazione, che hanno acuito il pericolo “banlieu parigina” e reso estremamente più complicata l’integrazione sociale.

Il fenomeno della “ghettizzazione” non può che provocare malessere e una generalizzata insoddisfazione da parte degli immigrati, perché evidenzia impropriamente l’alterità rispetto alla popolazione locale. In alcuni casi si tratta di un isolamento volontario, ovvero gli immigrati scelgono autonomamente di confinarsi in ghetti (anche culturali) che li estraniano.

Abbattere tutte queste barriere è la vera sfida a cui saremo chiamati a rispondere nel prossimo futuro, immaginando modelli urbanistici coerenti con le nuove esigenze. Per consentire questo processo, ritengo che l’Italia debba anche adeguare la propria normativa in materia introducendo leggi più moderne, dunque modificando l’anacronistica legge Bossi-Fini e la normativa per ottenere la cittadinanza italiana. In questo modo potremo liberare energie preziose e consentire finalmente uno sviluppo organico del fenomeno migratorio anche nel nostro Paese.