La Sardegna non è la Sicilia. Non è neanche la Spagna. La Sardegna ha un territorio, e delle coste, in cui l’edificato non è straripante, onnipresente. Vi sono negative eccezioni, e non sono poche. Ma ce la possiamo fare.

Consumare territorio, cementificare le coste, non è la soluzione. Non è la soluzione alla crisi economica. La Spagna ce lo insegna. Consumare territorio e cementificare ci fa vivere peggio.

Edoardo Salzano è uno dei più grandi urbanisti viventi. Edoardo Salzano è stato il coordinatore scientifico del PPR (Piano Paesaggistico Regionale). Edoardo Salzano ha evidenziato e commentato, riprendendo una notizia di “lexambiente”, una sentenza del Consiglio di Stato: la 6656/2012.

Riportiamola: “il comune aveva approvato un nuovo Prg che destinava a verde privato un’area destinata dai precedenti strumenti di pianificazione a zona di completamento. Il proprietario ha ricorso al Tar chiedendo l’annullamento degli atti e il ripristino della precedente destinazione. Il Tar ha rigettato il ricorso e il proprietario si è appellato allora al Consiglio di Stato. Quest’ultimo ha confermato la sentenza del Tar con motivazioni interessanti per il loro carattere generale”.

Che significa? Significa che l’edificabilità può essere attribuita solamente all’edificabilità di fatto. La “vocazione edificatoria” di un suolo, che fa riferimento a previsioni urbanistiche precedenti, non ha senso fino a quando non vi è l’edificato.

Insomma, il “diritto edificatorio” non è rivendicabile in aree che attualmente edificate non sono, a prescindere da eventuali previsioni urbanistiche.

Le attività di pianificazione urbanistica, quindi, non sono un coordinamento di diritti edificatori già esistenti. Questo ridurrebbe, e così è nella pratica di tante amministrazioni, la ricerca del bene pubblico a, semplicemente, capacità di individuare qualche margine di azione negli interstizi dei diritti individuali.

Nel caso delle città ritorna un problema chiaro: la distinzione tra città come insieme di case, di individualità,  e città come società, come comunità.

Nel caso della capitale della Sardegna questi temi sono centrali. Il centrodestra ci ha lasciato in eredità una politica urbanistica di rapina, disastrosa. Un incubo. Si era deboli coi forti e forti coi deboli. Gli uffici volutamente non funzionavano, tranne che per alcuni.

Il PUC di Cagliari prevede che intere aree nei fatti agricole, non edificate, abbiano un indice di edificabilità. In una città in cui si costruisce e, contemporaneamente, si perdono abitanti.

Usiamo questa sentenza e questi principi per riscrivere il futuro urbanistico della capitale della Sardegna. Immaginiamo piani regolatori sociali sugli immobili, ovvero sull’esistente. Piani che si interessino del pieno utilizzo degli immobili, siano essi pubblici o privati. Che si interessino del loro utilizzo (se sfitti o locati) e indichino le modalità per il recupero e la riqualificazione. A partire dall’immenso patrimonio del demanio civile e militare.

Si creino, su questi aspetti, convergenze con gli operatori del settore, partendo dalla scelta politica di non continuare a consumare territorio. La nostra terra, il nostro popolo, hanno solamente da guadagnarci.